lunedì 1 giugno 2020

L'etica e l'impulso-STEP#21

Molti filosofi, nel corso dei secoli, hanno toccato il tema dell'impulso in ambito etico e, conseguentemente, molte sono state le visioni e le analisi intorno a tale tema. Ho deciso di mostrarne due discordanti, in modo da illustrare quanto possa essere vasta la riflessione sviluppatasi sul concetto di impulso e sul suo significato.

Copia romana in Palazzo Altemps del busto
 di Aristotele di Lisippo

Ad Aristotele,  considerato con Platone, suo maestro, e Socrate uno dei padri del pensiero filosofico occidentale, è attribuito il primo trattato sull'etica come argomento filosofico: l'Etica Nicomachea. Si tratta di una raccolta di appunti non destinata alla pubblicazione. 
Nel corso della trattazione il filosofo si sofferma su una distinzione delle virtù: virtù dianoetiche e virtù etiche.
Le prime sono riferite alla ragione discorsiva e conoscitiva, (διάνοια, diànoia, "pensiero, intenzione"), mentre le seconde riguardano perlopiù l'attività pratica (da ἔθος [o ἦθος], ethos "carattere", "comportamento", "costume", "consuetudine").
Le virtù dianoetiche sono costituite dalla sapienza e dalla saggezza e, dal momento che elevano l'essere umano al di sopra di tutti gli altri animali, rappresentano le facoltà a cui ciascun uomo deve tendere.

"Non è possibile essere virtuosi senza la saggezza, né essere saggi senza la virtù etica"
Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 13

Il Partenone ad Atene
Le virtù etiche, seconde a quelle dianoetiche, rappresentano quelle abitudini di comportamento volte a dominare gli impulsi. E' qui che l'impulso entra nella etica Aristotelica: i desideri, gli istinti devono essere dominati dalla ragione attraverso tali virtù in modo da spingere l'uomo verso la saggezza e la sapienza. 
Per il filosofo, dunque, non è possibile elevarsi dal mondo animale se non si dominano gli impulsi, i quali ci vincolano in una dimensione puramente terrena. 
Il punto di vista aristotelico circa gli impulsi è quindi negativo, e sarà ripreso da molti filosofi nei secoli a venire, in particolare dai filosofi della cristianità (tra questi Sant'Agostino, già citato in uno scorso post).
Il dominio degli istinti e della passioni consiste perlopiù nella teoria del giusto mezzo:

"La virtù è una disposizione abitudinaria riguardante la scelta, e consiste in una medietà in relazione a noi, determinata secondo un criterio, e precisamente il criterio in base al quale la determinerebbe l'uomo saggio. Medietà tra due vizi, quello per eccesso e quello per difetto"

Aristotele, Etica Nicomachea, II, 6

Raffaello, Scuola di Atene, 1509-1511, Musei Vaticani
Gli impulsi devono quindi essere eliminati allenando la ragione nel mediare tra due atteggiamenti contrapposti in modo da non sfociare nell'eccesso né nella scarsezza. Aristotele ritiene possibile, inoltre, persuadere la parte irrazionale dell’anima, quella cui fanno capo impulsi e desideri, a obbedire alla ragione tramite rimproveri ed esortazioni. Sul piano etico tale persuasione è affidata alla parte razionale dell’anima, il cui fine è il bene migliore.

Johann Gottlieb Fichte
In contrapposizione alla visione etica di Aristotele troviamo in Fichte, filosofo tedesco di metà Settecento circa, un pensiero completamente diverso.
L'etica stessa è per il filosofo dovuta alla presenza in ogni uomo di un impulso che lo spinge ad agire e che rappresenta una sorta di obbligazione incondizionata.
La natura umana è, infatti, caratterizzata dalla compresenza di un impulso naturale, insieme di inclinazioni, desideri e tendenze sensibili che mantiene l'essere razionale in rapporto con il resto del mondo, e l'impulso puro che mira all'assoluta indipendenza e autodeterminazione. 

"L'impulso naturale si rivolge a qualcosa di materiale solo in vista della materia; al godimento per il godimento; l'impulso puro si rivolge invece all'assoluta indipendenza dell'agente come tale [...]: alla libertà per la libertà..."
Fichte, Il sistema della dottrina morale

Moonrise Over the Sea, Caspar David Friedrich, 550x710 mm
Colore ad olio
Nonostante essi siano diversi tra loro, sono complementari, poiché è dalla loro unione che nasce l'impulso morale, che spinge verso il principio della moralità. La mediazione (per rifarci un po' alla trattazione aristotelica del giusto mezzo appena vista) tra la spinta dell'impulso puro e quella dell'impulso naturale porta l'uomo ad agire in concreto nella società, tendendo a una completa autonomia che, seppur essendo qualcosa di irraggiungibile, è ciò a cui tutti gli esseri razionali finiti aspirano.
E' evidente, dunque, che Fichte si discosta dal pensiero aristotelico in quanto evita la condanna dei desideri e degli istinti, ma anzi, li rende parte integrante di quell'impulso morale che caratterizza gli uomini e che permette loro di vivere in società e di agire coerentemente alla propria natura.


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